L'amichevole cinefilo di quartiere

La truffa dei Logan

Un film di Peter Andrews e Mary Ann Bernard.

TRAMA: I fratelli Logan, Jimmy, Clyde e Mellie, vogliono fare un colpo che cambierà le loro vite: una rapina nel corso della Coca Cola 600, una grande gara automobilistica. Il loro asso nella manica è l’esperto di esplosivi Joe Bang: peccato che il buon Joe si trovi in prigione…

RECENSIONE:

Capisco che l’originale Logan Lucky non sia magari di immediata traduzione, ma fa abbastanza sorridere che ‘sti tizi commettano almeno venti reati e la truffa NON sia tecnicamente uno di questi.

Avrebbero potuto tradurlo in italiano diversamente, tipo, che so:

Il colpo dei Logan.

La fortuna dei Logan.

Gli scatenati Logan.

Logan non quello con gli artigli ma il tipo che si spogliava in Magic Mike il nipote emo di Darth Vader e la bella roscia di Mad Max no non quello con Mel Gibson quello con Charlize Theron monca.

No, eh?

Va beh.

Per la regia di Steven Soderbergh, La truffa dei Logan è un film estivo, dove l’attributo stagionale non assume connotazione negativa, ma la definizione più pura: un’opera di intrattenimento leggero e scanzonato da non prendersi eccessivamente sul serio e che risulta godibile per uno spettatore che miri ad un piacevole divertimento.

Una pellicola attraverso le cui gag improbabili ed i suoi personaggi comici si può quasi sentire l’odore dell’Autan, la gioia delle Feste della Birra, gli spritz alla Pensione Marilena di Riccione e i top inguinali indossati da ventenni sbarazzine.

Un heist movie leggero e quasi surreale nella sua poca ortodossia, tra redneck analfabeti e bombaroli periti chimici, baristi monchi e bambine Miss, ogni situazione si concatena all’altra riuscendo a strappare ben più di una risata al pubblico.

Ambientato tra il North Carolina e la West Virginia, in una specie di buco nero sociale della Land of Opportunities statunitense contemporanea (quest’ultimo stato in particolare ha la minor percentuale di laureati degli Stati Uniti, solo il 17% della popolazione adulta ha un Bachelor Degree), il background socio-economico-geografico risulta un vero e proprio personaggio: la Virginia Occidentale è afflitta da una cronica forma di marginalità economica e culturale, e non stupisce che proprio nei suoi collegi elettorali Donald Trump alle ultime elezioni abbia preso le percentuali in assoluto più alte di tutti gli Stati Uniti.

Il comparto tecnico riesce ad incanalarsi in questa direzione esaltando il contesto dell’opera, con una regia che sa sfruttare bene gli spazi, soprattutto interni, con inquadrature sapienti ed una fotografia vivace e luminosa che rende i colori accessi e vibranti.

Soderbergh si dimostra più che abile fotografo, riuscendo a non adagiarsi infatti su stilemi espositivi da videoclip a cui pellicole action hanno troppo spesso malamente abituato il pubblico, optando invece per una rappresentazione più impostata e consapevole dei soggetti nello spazio.
Niente montaggio ultraadrenalinico alla Fast & Furious, ma si riesce comunque a percepire l’impellente scorrere del tempo e le problematiche di una rapina piuttosto complessa metta in atto dai protagonisti.

In uno scenario con famiglie disastrate, carceri, risse da bar, padri che non hanno nemmeno i soldi per pagare le bollette dei cellulari e le cui figlie già a dieci anni pensano solo a partecipare a concorsi di bellezza infantile, Soderbergh decide di staccarsi da un’atmosfera da cinema “di denuncia”, non inquadrando il mondo del Sud dal punto di vista della sua miseria ma in funzione del suo riscatto, optando per una scelta cromatica accesa invece dei colori scuri da pellicola drammatica.

Protagonista è un’armata Bracalone di poveracci: non Fortunate Son(s) come cantano i Creedence Clearwater Revival dall’autoradio, che vengono presi in giro per essere stupidi, per vestirsi in modo volgare, per guidare macchine semplici e ammaccate; un film in cui però la working class non è più umiliata e arresa, ma mette le proprie capacità a servizio di un atto non ortodosso alla Robin Hood.

Cast piuttosto ricco, guidato da un Channing Tatum che sta dimostrando di possedere sotto il fisico bovino capacità attoriali piuttosto inaspettate, e che nella carriera può già vantare collaborazioni, oltre che con Soderbergh (suoi anche i due Magic Mike già menzionati), anche con Tarantino (The Hateful Eight) e i Coen (Ave, Cesare!).
Fa sempre piacere quando un interprete riesce a non farsi ingabbiare dalla propria marcata fisicità, riuscendo a porsi in gioco con una carriera maggiormente variegata.

Al suo fianco l’eclettico Adam Driver in un ruolo quasi totemico nella sua fissità espressiva post-trauma a metà strada tra un Droopy ed una Janine: simpatico e leggermente tardo ragazzone del Sud, un personaggio che nasconde parecchie complessità sotto un’apparenza bidimensionale.

Ruba ovviamente la scena un divertente e divertito Daniel Craig con parrucco alla Gazza Gascoigne: il suo Joe Bang è spesso l’acqua della vita per una pellicola che lo esalta senza però fargli soverchiare il focus narrativo sulla famiglia Logan.

Buona prova anche di Riley Keough, nipote di Elvis Presley, che riesce ad incarnare benissimo la giovane donna appariscente del Sud, in bilico tra volgarità di abbigliamento e sessualità più naturale in una West Virginia limitata e limitante.

I protagonisti probabilmente Trump lo avrebbero votato davvero (sono stati nell’Esercito, ascoltano il country di Loretta Lynn, indossano le magliette della Charlie Daniels Band): dopo tanto cinema del quale si dice a sproposito che rappresenti l’“America di Donald” quest’opera ce la mostra davvero.

Commenti su: "La truffa dei Logan" (12)

  1. Probabilmente hai ragione tu, e il titolo italiano è stato dato totalmente a casaccio; tuttavia, volendo trovare una spiegazione razionale, La truffa dei Logan potrebbe riferirsi al fatto che Clyde si è fatto imprigionare apposta per poter far evadere Joe Bang, e quindi in un certo senso ha truffato lo stato.
    P.S.: Ancora una volta mi hai anticipato: anch’io ho appena pubblicato una recensione di questo film, in cui condivido anche dei dolcissimi ricordi d’infanzia. Spero che ti piaccia! 🙂

    • Sì, in senso lato è vero, però mi ha fatto strano che “La rapina/furto/colpo dei Logan” sarebbe stato un titolo “catchy” comunque e più attinente alla trama.

      Poi vabbè, siamo ai dettagli 🙂

      • Forse i distributori italiani hanno pensato che, dando un titolo come quelli che hai suggerito, a vedere il film ci sarebbero andati soltanto quelli a cui piacciono i film di rapina: così, nel tentativo di vendere qualche biglietto in più, hanno deciso di ribattezzarlo in quel modo.
        Comunque, preferisco mille volte un titolo italiano stravolto rispetto all’americanata di lasciare il titolo inglese così com’è, anche quando si potrebbe tranquillamente tradurre. Un caso su tutti è The air I breathe (buon film tra l’altro): che ci voleva a tradurlo con “L’aria che respiro”? Tra l’altro 9 italiani su 10 non sanno cosa vuol dire “to breathe” e non sanno neanche pronunciarlo, quindi in quel caso la traduzione era non solo opportuna, ma perfino indispensabile. E infatti The air I breathe ha fatto flop.
        Ho l’impressione che, nonostante il titolo tradotto, qua in Italia farà flop anche La truffa dei Logan: a vederlo eravamo in 8. Grazie per la risposta! 🙂

      • Sì, è un peccato perché l’ho trovato carino come film, ma complice forse il periodo estivo effettivamente non so se possa ricavare molto…

        Per la traduzione bisognerebbe capire quando staccarsi dal concetto “inglese perché fa figo” e quando invece tenere un titolo in altra lingua perché effettivamente di difficile traduzione (ad esempio quando si hanno giochi di parole).
        Non è semplice però oh, avranno esperti di marketing apposta, alcuni errori dovrebbero essere evitati.

      • Il mese scorso ho visto una commedia romantica ambientata proprio nel mondo del marketing: Il genio. In quel film Eddie Murphy interpreta una parte di contorno: il guaio è che i produttori (con una furbastra mossa di marketing, appunto) hanno fatto credere che fosse un film comico con lui protagonista, e quando gli spettatori hanno scoperto la verità è partito un passaparola negativo che ha determinato il flop del film. Un vero peccato: anche se non fa ridere, è comunque un film delizioso. Se non l’hai visto, te lo consiglio caldamente! 🙂

      • Nella locandina di “47 Ronin”, filmetto mediocre di qualche anno fa, il personaggio sulla destra (il secondo in ordine di grandezza dopo Keanu Reeves) compare nel film solo per un paio di secondi senza dire nemmeno una battuta.

        Non sto scherzando.

        Seconda. Figura. Più grande. Sulla locandina.

      • Hanno tirato lo stesso bidone con “Life – Non oltrepassare il limite”: sulla locandina giganteggia Ryan Reynolds, ma nel film dura meno di mezz’ora. Peraltro, il sottotitolo è incompleto: avrebbero dovuto scrivere “Non oltrepassare il limite DEL PLAGIO”, perché quel film scopiazza Alien con una spudoratezza insopportabile.
        Ah, ho messo il link della tua recensione nei commenti del mio post: spero che la notino più persone possibile! 🙂

      • Ah grazie mille 😀 sì, recensii “Life” e la somiglianza vergognosa con Alien fu una delle prime cose che scrissi.

        Capisco “prendere spunto” ma farci un’ora e mezza di film uguale è stato troppo.

      • Ieri sera mi è successa la stessa cosa: sono andato a vedere “Tuo, Simon” e ho scoperto che è una spudorata fotocopia di Noi siamo infinito, con un protagonista gay anziché etero. Su imdb gli ho dato 7 lo stesso, ma ritengo che Berlanti avrebbe potuto sforzarsi di più (anche perché, a quanto dice il nostro amico Lapinsù, il cervello e l’inventiva non gli mancano).
        Ah, se vuoi dargli un’occhiata il mio profilo imdb è questo: https://www.imdb.com/user/ur55603897/?ref_=nb_usr_prof_0. Spero di darti degli spunti per le tue visioni future! 🙂

      • A me “Noi siamo infinito” manco è piaciuto, lo trovai pretenzioso.
        Direi che quindi posso evitarmi pure questo ^^”

  2. Splendida recensione, per la quale ti faccio le mie congratulazioni assolutamente disinteressate!
    Non voglio ripetere qui da te le stesse parole che ho già speso per parlare benissimo di questo film e che avevo scritto come commento sotto il post dell’amico Wwayne, ma lasciati semplicemente dire che hai scritto un bellissimo pezzo, apparentemente scansonato ma in realtà molto più colti di quello che la gente possa pensare: i tuoi rilievi tecnici sulla fotografia del film e su come siano stati diretti gli attori sono semplicemente impeccabili e mi trovano concorde al 100%.
    Aggiungo anche che Steven Soderbergh è ancora uno di quei pochissimi registi statunitensi che continua ad avere una sua idea di cinema molto precisa e che continua a fare film in barba a qualsiasi convenzione, alternando pellicole assolutamente glamour ed acchiappa pubblico, come la saga dei tre Ocean, ad altre in cui si permette di prendere per il culo persino se stesso!
    Io e Wwayne ci divertiamo molto con i nostri commenti sui rispettivi blog a giocare sulle contraddizioni che spesso si annidano nelle differenze clamorose tra aspettativa e risultato di pubblico di fronte a certi film e soprattutto a certi cast stellari, come nel caso di un regista che entrambi amiamo ed odiamo contemporaneamente, Terence Malik, il quale continua a produrre film fregandosi assolutamente del gradimento finale degli spettatori, alternando opere applauditissime dal dalla critica ad altre invece che fa solo per te stesso e che piacciono solo a lui, ma con un carisma che gli permette semplicemente di schioccare le dita e di attirare a sè cast di divi stellari davvero incredibili ed è un po’ quello che è successo anche a Soderbergh.
    Un carissimo saluto ed ancora tantissimi complimenti.

    • Ti ringrazio, sì, Soderbergh ha dimostrato nel corso degli anni (decenni ormai) di essere un regista molto più eclettico di quanto si possa pensare, e fa piacere che come hai detto tu oltre a pellicole più glamour punti ad opere maggiormente di “nicchia” per struttura.

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