L'amichevole cinefilo di quartiere

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Sound of Metal

“O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un’apparenza […] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento […] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo […] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l’infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore”.

Estratto del testamento di Heiligenstadt, lettera manoscritta di Ludwig van Beethoven indirizzata ai suoi fratelli Kaspar Karl e Nikolaus Johann (6 ottobre 1802).

TRAMA: Ruben Stone è un batterista, facente parte di un duo metal insieme alla fidanzata cantante: la coppia risiede in un camper, e conduce una vita composta da continui viaggi attraverso il Paese per esibirsi.
Un giorno Ruben, poche ore prime di un concerto, inizia a perdere progressivamente l’udito…

RECENSIONE:

Concepito da Derek Cianfrance basandosi sulle proprie esperienze da batterista affetto da acufene e poi “regalato” all’amico Darius Marder, con cui aveva co-sceneggiato il suo Come un tuono, Sound of Metal è un interessante ritratto di un come un povero diavolo affronti un handicap così debilitante per la propria professione e passione.

Non si assiste, fortunatamente, alla ormai scontata, lacrimosa e melensa calata nella improvvisa disabilità che in puro stile hollywoodiano impedisce al nostro eroe di agguantare i propri sogni, coronare l’amore o elevarsi socialmente, bensì ad una più matura e rispettosa raffigurazione di una persona comune, con ordinari pregi e difetti annessi, troppo velocemente catapultata in una realtà di amara incompletezza sensoriale.

Il protagonista, Ruben, è per certi versi un innocuo sempliciotto con una assai limitata visione del mondo che lo circonda, per lui costituito unicamente da musica, fidanzata e camper: a seguito della scoperta della sua menomazione fisica, la sua forma mentis lo conduce quindi ad un percorso caratterizzato da costante frustrazione, che gli preclude la felicità anche quando le sue vicissitudini lo portino a trovarsi apparentemente in una condizione socio-comunicativa migliore rispetto a quella appena precedente.

Sound of Metal possiede infatti l’enorme pregio di far susseguire le fasi di elaborazione del proprio handicap da parte del ragazzo senza facili ricorsi a commozione o dramma che imbocchino come fosse un infante lo spettatore a mestolate dell’emozione richiesta dalla scena: viene consentito invece al pubblico di poter rendersi conto autonomamente degli affanni del musicista, quasi permettendoci di posare delicatamente una mano sulla spalla di Ruben per consolarlo ed empatizzare con i suoi turbamenti.

Per un musicista, ovviamente, il senso dell’udito non è solo una delle abilità con cui l’uomo possa interfacciarsi con l’ambiente circostante, ma è anche il mezzo precipuo della sua arte.
Non poter sentire equivale a chiudere a doppia mandata il portone della propria sensibilità professionale, il crollo di un ponte che possa collegare l’esterno e l’interno della propria stessa essenza.

Il batterista deve perciò abbandonare il suo habitat di rumore, frastuono e potenza sonora: non percuote più un tamburo con dei bastoni, come potenza primigena di un capo negriero su una galea cartaginese, ma è costretto giocoforza ad immergersi in una coltre di ovattato silenzio, capendo come adattare il proprio sé ad una nuova drammatica situazione.

L’uomo perciò attiva il meccanismo di naturale evoluzione e si reinventa, affrontando le ostilità che nascono direttamente dal proprio fisico affinando strumenti che gli consentano di sopperire alle sopraggiunte mancanze.
È uno sforzo, un percorso pieno di difficoltà che merita il massimo rispetto da parte delle altre persone, che non devono mai dimenticarsi di quanto il prossimo possa soffrire.

Veramente ottimo Riz Ahmed (candidato all’Oscar, una delle sei Nomination della pellicola) nell’interpretazione di un personaggio tanto apparentemente lineare quanto complesso, che espone la variegata gamma di emozioni in modo progressivo ed intimista; nella sua perenne insoddisfazione, Ruben è un Ulisse che non si accontenta mai del porto sicuro che ha faticosamente trovato, ma sente che la felicità si trova dall’altra parte del mare, nella prossima isola, nel prossimo litorale, nella prossima terra.

Il linguaggio dei segni non è abbastanza, gli impianti meccanici uditivi non sono abbastanza, l’amore e persino la musica non sono abbastanza: Ruben è in affanno, ne vuole ancora e ne vuole di più, e in molti ci possiamo identificare in questo giovane uomo privato di qualcosa che così disperatamente aneli.

Menzione doverosa per la grande prova di Paul Raci, cresciuto in una famiglia con genitori sordi e qui interprete del leader di una comunità di non udenti che accoglie il batterista: a settantatré anni e dopo una lunghissima gavetta, la Nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista è il giusto coronamento ad una prestazione maiuscola.

Disponibile su Amazon Prime Video, film decisamente consigliato.