The Nun: La vocazione del male
«Ma scherziamo?! Una recensione, non c’è problema, gliela portiamo domattina. Andiamo, Elwood».
«No! Io non la accetterò mai la vostra sporca recensione negativa!»
«Va bene. E allora sono cavoli tuoi, sorella».
TRAMA: Romania, 1952. Il Monastero di Cârța è stato teatro del suicidio di una suora di clausura. Un prete e una novizia, inviati dal Vaticano, investigano sul caso.
RECENSIONE: Quinto film appartenente al Conjuring Universe (“Conjuverse”?), The Nun è una pellicola horror il cui pomposo sottotitolo italiano rischia di ingannare lo spettatore superficiale e poco accorto.
Questa infatti non è La vocazione del male.
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È la vocazione delle cazzate.
Perché questo film ne ha una barca.
Partendo con quel famigerato “Tratto da una storia vera” che con il suo giustificazionismo vacuo e spicciolo mi ha ormai causato un’incurabile orchite, The Nun inanella senza soluzione di continuità una serie di stereotipi che farebbero arrossire di vergogna i neri con il ritmo nel sangue, le donne incapaci alla guida e i proprietari di SUV dagli attributi ridotti.
Posso tranquillamente evitare gli spoiler semplicemente sfidandovi a pensare ad ogni cliché possibile ed immaginabile nel genere “horror sovrannaturale con atmosfera religiosa”: ognuno di quelli balzativi alla mente è presente in quest’opera.
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Pure quello.
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Sì, anche quello.
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Eh, volete che non ci sia quello?
Il risultato è una ridicola brodaglia di robacce a caso inframmezzate da jumpscare più ovvi della tabellina dello zero, che faticano terribilmente ad iniettare adrenalina ad una trama nata morta e la cui profondità ha una pochezza francamente sconcertante.
Seriamente, perfino Whoopi Goldberg canterina gospel non sarebbe stata malposta in novantasei minuti di puro delirio, ma per i motivi sbagliati, con eventi senza senso, ma per i motivi sbagliati e con una richiesta al pubblico di abbandono totale ed irreversibile della logica.
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Ma per i motivi sbagliati.

Ed è quando rimpiangi la commedia scollacciata italiana anni ’70 che il Settimo Sigillo sta per aprirsi…
Tutto un urlare, tutto un vagare da soli per corridoi infiniti e identici gli uni agli altri, tutto un simbolismo religioso che definire “spicciolo” sarebbe eufemistico, un casino di rituali, demoni, il Bene, il Male, Dio, i sacrifici, le possessioni, i villici ignoranti, le superstizioni sbagliate ma forse giuste… fattori rimestati alla bell’e meglio e vomitati alla Regan McNeil su noi poveri padri Karras e Merrin che assistiamo impotenti a tanto orrore.
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PER I MOTIVI SBAGLIATI.
E poi, per cortesia, basta con questa tonnellata infinita di jumpscare banali, inutili ed iper-telefonati: la paura dovrebbe provenire dall’ambientazione, dall’atmosfera, da una lenta discesa nell’inquietudine dell’animo umano, con lo spettatore che gradualmente si perde nei meandri della propria psie invece col cazzo, qui è tutto un BAAHH e un TUUUM di colonna sonora uno dietro all’altro.
Come se il film ti urlasse contro:
Nel cast, Demián Bichir passa un’ora e mezza con il perenne grugno tipico di colui che sta meditando di licenziare il proprio agente (al suo cinquantesimo “Sorella Airiiiiiinnn…” stavo cadendo preda di raptus omicidi); Taissa Farmiga, sorella minore della Vera già nel Conjuverse (o come caspita lo volete chiamare) nei panni di Lorraine Warren, fa la sua porca figura pur interpretando un character banale e piuttosto fastidioso.
The Nun.
La vocazione all’autolesionismo.
La mia.